La serie nasce come tentativo di connettere l’esperienza della montagna a una dimensione “psichedelica”, intesa come ampliamento della coscienza. Non un’esperienza mediata da sostanze psicoattive — come evocato nel brano Misty Mountain Hop (1971) dei Led Zeppelin — bensì un’apertura percettiva generata dal rapporto diretto con la natura.
Il titolo si ispira al film La Montagna Sacra (1973) di Alejandro Jodorowsky, che esplora la trasformazione come esperienza iniziatica.
Questo intreccio tra natura e coscienza trova un riferimento nel pensiero di Henry David Thoreau, per il quale la natura non era soltanto strumento di accesso a verità superiori, ma pratica filosofica in sé: fonte di benessere e misura dell’equilibrio esistenziale. Un’idea che riaffiora anche nell’alpinismo contemporaneo: Reinhold Messner, ad esempio, ha vissuto la montagna non solo come sfida estrema, ma anche come esperienza contemplativa e mistica. Scalare significa, così, misurarsi con le vette esteriori e interiori, in un continuo movimento di ascesa e discesa dentro sé stessi.
Come avevano intuito le immagini visionarie di Koyaanisqatsi (1982), questa dimensione spirituale e di contatto con l’altro si è progressivamente assottigliata, sostituita dal ritmo frenetico della modernità e dall’alienazione prodotta dalla riproducibilità tecnica.
In questo senso, Montagne Sacre si presenta come una serie di immagini fotografiche che raccontano la necessità di rallentare, recuperare il proprio bioritmo e riconnettersi con la biodiversità interiore. Non semplici fotografie di paesaggio, ma dispositivi di percezione: testimonianze del legame tra paesaggio e interiorità . Immagini come esperienza di attraversamento e trasformazione.
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#3, Monte Chiappo (2021) |
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#6, Madonna del Vento (2022) |
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#7, Monte Penice (2022) |
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#12, Lago d'Orta (2022) |
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#18, Monte Resegone (2023)
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#27, Riale (2023) |








